L'ecologia integrale di papa Francesco


A cura di Gianfranco Poma e Walter Minella

Le due ultime Encicliche di papa Francesco, la Laudato si’ (2015) e la Fratelli tutti (2020) rappresentano, a nostro parere, uno sviluppo potente nella dottrina sociale della Chiesa: a noi viene in mente, come termine di paragone, la Rerum Novarum (1891) di papa Leone XIII. Potremmo dire che, se la Rerum Novarum apriva il confronto della Chiesa con la società industriale moderna, queste due Encicliche rappresentano una presa di posizione di fronte alla fase conclusiva di questo lungo periodo storico, e cioè alla radicale globalizzazione dell’economia mondiale, in cui tutto è collegato. L’universale interconnessione tra gli esseri umani comporta, per esempio, che una catastrofe sanitaria che si produce in Cina, come il Covid-19, può avere, dopo qualche settimana, drammatiche ripercussioni sulla vita quotidiana delle persone in tutto il mondo – a partire dall’Italia. Ma noi non siamo ancora abituati a questa apertura mondiale dello sguardo: mentre l’economia è globale, noi tendiamo a rimanere ancorati a una visione nazionale dei problemi, estesa al massimo alla nostra area di civiltà (l’Europa, il mondo occidentale). Già nel 2015, senza aspettare l’arrivo del coronavirus, con la Laudato si’ papa Francesco aveva impostato una riflessione sul necessario superamento di questi limiti, tramite un’analisi critica serrata dei meccanismi della globalizzazione. Fratelli tutti, un appello appassionato alla presa di coscienza della nostra universale comunità di destino, ne è, per così dire, una prosecuzione sul piano propositivo. Si può dire che le due encicliche rappresentino le due parti di un dittico: l’una più incentrata sul versante dell’analisi delle dinamiche socio-economiche, l’altra su quello della proposta umana – umana perché cristiana, cristiana perché integralmente umana. Proprio per questo tale proposta si rivolge a tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà: perché “oggi, credenti e non credenti sono d’accordo sul fatto che la terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti”. 1

Le due encicliche hanno avuto un’enorme risonanza nel mondo, tra credenti e non credenti: papa Francesco è stato assunto anche da una parte importante della cultura laica come riferimento privilegiato, faro, voce della coscienza collettiva. Noi pensiamo che le analisi e le proposte delle due encicliche abbiano una loro autonoma validità ma insieme crediamo che esse siano, almeno nell’intenzione del Pontefice, l’indicazione di un percorso possibile verso una fede credibile nei nostri tempi. Comunque, qualche effetto c’è già stato: basti dire che, a partire dalle due Encicliche, è iniziato un cammino di ricerca molto promettente, che è noto come “L’economia di papa Francesco”.[ Speriamo che anche nella nostra diocesi si sviluppi un serio approfondimento di queste questioni, tramite letture comuni, seminari, conferenze ecc., che possano coinvolgere credenti, non credenti e diversamente credenti: noi crediamo che la nostra città abbia risorse sufficienti per affrontare seriamente questi problemi.] Il nostro intervento vuole essere solo un piccolo, parziale contributo in questo senso. In esso ci soffermeremo in particolar modo sulla prima enciclica, la Laudato si’, perché ci pare che la comprensione dell’impianto concettuale di questa Enciclica costituisca il presupposto necessario per una adeguata sintonia con la seconda.

La critica al ’paradigma tecnocratico’

Gli ultimi quaranta anni, con tutti i mutamenti importantissimi che si sono verificati (la ‘guerra mondiale a pezzi’, la rinascita spesso cruenta dei fondamentalismi religiosi, l’ascesa della Cina come seconda potenza mondiale, la lenta ma sicura entrata nel mercato e nel consumo di centinaia di milioni di abitanti del cosiddetto ‘Terzo Mondo’ e insieme l’approfondirsi delle disuguaglianze tra i popoli ed entro i popoli ecc.) non hanno, in linea di principio, scalfito il modello di sviluppo economico universalmente adottato a partire dagli anni Ottanta-Novanta del Novecento, che Francesco definisce come ‘il paradigma tecnocratico’ e che possiamo definire anche come liberismo o mercatismo. In questo modello di sviluppo il mercato non costituisce più una forza di trasformazione sociale ma è l’unica forza socialmente riconosciuta capace di guidare, come notava il grande antropologo Polanyi, la ‘grande trasformazione’ della natura e della società. E’ vero che tale modello è riuscito a far uscire dalla miseria centinaia di milioni di persone (ma anche, si deve aggiungere per onestà intellettuale, a far cadere nella miseria altre centinaia di milioni: si pensi alla desertificazione, alla pratica delle monoculture, alla urbanizzazione degradata …). E tuttavia esso presenta delle fragilità indiscutibili che ormai, dopo il Covid-19, sono entrate, o stanno entrando, o almeno dovrebbero entrare nella consapevolezza comune della popolazione mondiale. Anzitutto, esso continua ad escludere miliardi di persone dalla fruizione di beni e servizi che, nella parte ricca del mondo, sono diventati normali. Non solo: ma, se si ipotizzasse che tutti gli uomini e le donne del mondo usufruissero di un livello dei consumi pari a quello dei cittadini statunitensi, la terra, per così dire, soffocherebbe. E’ ben vero che l’umanità dispone di formidabili strumenti di carattere scientifico e tecnologico che permetterebbero di superare alcune delle strettoie alimentari e sanitarie. Ma per porre rimedio a veri e propri scandali nascosti o sommersi, quali le morti di milioni di persone per fame o per mancanza di medicine, occorrerebbe una volontà politica universalistica, che cioè vedesse coinvolte le intelligenze e le risorse di tutta l’umanità. E’ proprio questa volontà politica universalistica ciò che attualmente manca o è radicalmente insufficiente: esiste la globalizzazione dell’economia e delle malattie, non esiste la globalizzazione delle menti e dei cuori. Questo è uno dei primi ammonimenti di papa Francesco.

La fine di un periodo storico

La crisi indotta dal coronavirus segna la conclusione di un periodo della storia mondiale in cui sembrava che nulla o nessuno potesse ostacolare la via di uno sviluppo infinito. Si tratta di una crisi anzitutto di carattere ecologico, in cui la finitezza delle risorse della terra si scontra con l’impulso faustiano, potenzialmente infinito, a uno sfruttamento di queste risorse a fini di profitto. L’Enciclica di papa Francesco Laudato si’ presenta già nel primo capitolo, anche solo a scorrere i titoli dei paragrafi, una panoramica inquietante delle molteplici dimensioni della crisi ecologica attuale. Già il titolo del capitolo - “Quello che sta accadendo alla nostra casa” - è un’indicazione: la terra è la casa comune di tutti gli esseri umani, nessuno si può arrogare il diritto di abusarne, di devastarla, di rovinarla per un suo interesse privato. Anche i titoli dei paragrafi sono poi estremamente significativi, e indicano chiaramente l’ampiezza delle questioni in gioco: Inquinamento e cambiamenti climatici; La questione dell’acqua; Perdita di biodiversità; Deterioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale; Inequità planetaria; La debolezza delle reazioni. Senza entrare in osservazioni di dettaglio,appaiono chiare la peculiarità dell’impostazione del papa, la pluralità dei piani su cui si sviluppa il suo discorso: la crisi è insieme a) una crisi ecologica, b) una crisi sociale, per le numerose, crescenti disuguaglianze all’interno dei paesi ricchi e tra paesi ricchi e poveri, c) una crisi di valori o culturale o antropologica.

Alcune radici filosofiche nascoste della meditazione di papa Francesco

Molte correnti filosofiche vengono, più o meno apertamente, recuperate nell’Enciclica. Per esempio Heidegger, con la sua tematica dell’“oblio dell’essere”, non è citato, ma è presente attraverso la mediazione del teologo italo-tedesco Romano Guardini. La contrapposizione tra problema e mistero, cioè il rifiuto di ogni riduzionismo scientistico, di ogni tentazione di ridurre il mistero a problema scientifico, prima o poi risolvibile, ricorda la lezione del grande filosofo cattolico Gabriel Marcel, uno dei cui discepoli, il filosofo cristiano protestante Paul Ricoeur, è peraltro citato. Il recupero della corporeità, il rifiuto di un dualismo malato tra anima e corpo, evoca la lezione della fenomenologia. La logica di Io e Tu contrapposta alla logica di Io ed Esso era già stata indagata brillantemente dal filosofo ebreo Martin Buber. E, per chiudere questo accenno sommario ai riferimenti filosofici nascosti, viene recuperata implicitamente quella componente del marxismo che era stata recepita dalla teologia latino-americana attraverso la categoria di “peccato sociale”: ovvero l’attenzione alle condizioni strutturali che, promuovendo le disuguaglianze sociali, impediscono la fioritura della personalità di ognuno. Questo naturalmente non vuol dire che papa Francesco accetti la metafisica materialistica e ‘progressista’ del marxismo né, tanto meno, la visione totalitaria del comunismo come conclusione necessaria della storia, che richiederebbe l’uso della violenza come ‘levatrice della storia’ ecc. (concezione che, lo diciamo per scrupolo filologico, è antitetica rispetto all’utopismo comunista del giovane Marx, una pagina importante della filosofia classica tedesca). Anzi il nostro papa è ben attento a sottolineare “l’amicizia sociale” e a privilegiare la categoria di “popolo” su quella di classe e lotta di classe. E tuttavia, seguendo la tradizionale dottrina sociale della Chiesa, egli rifiuta apertamente di appiattirsi sulla visione liberista del mercato, che oggi è divenuta dominante nel mondo, secondo cui la proprietà privata dei beni costituirebbe un principio assoluto e indiscutibile. Il principio sociale prioritario è la destinazione universale dei beni, mentre la tutela della proprietà privata non è che un principio derivato. Dunque nel caso di papa Francesco sarebbe assurdo parlare di comunismo, si dovrebbe parlare invece di comunitarismo.

Il criterio del fare e la riduzione del mondo a insieme di cose inanimate e manipolabili

Utilizzando alcune categorie della filosofia occidentale, potremmo dire che il fondamento nascosto della società contemporanea è stata la riduzione della natura a una serie di strumenti infinitamente manipolabili. La volontà di dominio, spronata dalla ricerca del profitto e sostenuta dall’apparato tecnico-produttivo, è stata ed è all’opera dovunque. Che cosa è mancato in questa impresa? E’ mancata completamente una dimensione - la contemplazione, la meditazione – che già nella cultura greca era stata centrale e che anche in altre culture era fortemente presente. Una testimonianza eloquente di questa dimenticanza è data dal Faust di Goethe, questo poema archetipo della modernità. Nelle prime pagine Faust deve tradurre l’inizio del Vangelo di Giovanni, en arché en ho logos (in principio era il Verbo, o anche la Ragione). E, dopo una serie di tentativi, a quale risultato giunge Faust? Ecco la sua traduzione finale: in principio era l’azione! Ma l’azione, senza altro principio che se stessa, giunge oggi a quei risultati che Robert J. Oppenheimer, il fisico che gestì il progetto Manhattan da cui nacque la bomba atomica, esprimeva così: “I fisici hanno conosciuto il peccato, e questa è una conoscenza che non potranno più perdere”. Occorre fermare la corsa verso l’abisso. La crisi ecologica generata dall’applicazione universale di questo modello di sviluppo, che papa Francesco definisce ‘il paradigma tecnocratico’, è solo l’aspetto più evidente, urgente e drammatico. Ma la radice ultima di questo modello sociale e culturale consiste in una peculiare qualità dello sguardo rivolto al mondo, alla natura, a se stessi e agli altri esseri umani, che contrasta con alcune conquiste della sapienza umana depositate nelle diverse tradizioni.

Il fondamento mistico dell’Enciclica Laudato si’

Spesso i commentatori di cultura laica ci pare non colgano quello che a nostro parere è l’atteggiamento fondamentale, originario da cui scaturisce questa enciclica: lo chiameremo il fondamento mistico. Esso presuppone il venire meno delle riserve critiche dell’Io di fronte al mondo (riserve che, in altri contesti, per esempio in quello scientifico, sono del tutto appropriate, anzi necessarie) e, per così dire, il venir meno delle sue pretese di essere fondamento del mondo ma, al contrario, la scomparsa, almeno tendenziale, della centralità dell’io, che viene per così dire assorbito nella contemplazione della bellezza e che sopravvive solo come consenso, appagamento, tranquillità, pace, serenità. Tutte le grandi religioni mondiali, nei loro momenti più alti, presentano modalità e figure comparabili. Così san Francesco, veramente alter Christus, nel Cantico delle creature rimanda al suo Maestro, archetipo di un’umanità redenta. E, nelle diverse tradizioni cristiane e in quelle di altre religioni, non mancano mai, almeno in alcune correnti, esponenti di questo apertura quieta e meditativa alla meraviglia del creato. Ad essa faceva riferimento il grande mistico cattolico tedesco Angelus Silesius nel suo “Pellegrino cherubico”: Una rosa è senza perché. Fiorisce perché fiorisce/ Lei a se stessa non bada, non chiede che la si guardi. E così il nostro Dante, a proposito delle nozze mistiche tra san Francesco e Madonna povertà, parlava di “Amore e maraviglia e dolce sguardo”. Questo sentimento mistico della bellezza del mondo, sacro, inviolabile riflesso della bellezza di Dio, è, a nostro parere, il fondamento nascosto del testo. E senza di questo, ci pare difficile cogliere l’Enciclica Laudato si’ nella sua profondità. Ma se questa esperienza, così propria della dignità dell’essere umano, c’è, allora risulta scosso quel criterio del fare come unico fondamento che è stato il presupposto centrale del modo di pensare occidentale moderno e post-moderno e che ha prodotto tanto la strumentalizzazione della scienza ai fini della tecnoscienza guidata dal mercato quanto l’esaltazione dell’avidità e del consumo delle cose e delle persone ridotte a cose. Il risultato finale è quello che già Shakespeare (Troilo e Cressida) aveva profeticamente indicato: “E l’ingordigia, lupo universale/ Forte di questo duplice sostegno,/ Del potere e volere, fatalmente/ Farà dell’universo la sua preda/ Fino così a divorare se stessa”.

 


1 Paragrafo 93 della Laudato si’


Gianfranco Poma, biblista, è stato ed è ancora un punto di riferimento per generazioni di pavesi, cattolici e laici.

Walter Minella ha diretto la rivista "Ulisse" e attualmente è il curatore della rubrica di recensioni della Biblioteca Bonetta di Pavia.

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