Presentazione del progetto '800: Musiche in Quadreria

immagine presa dalla locandina

Giovedì 9 maggio, alle ore 18, presso la sala conferenze dei Musei Civici di Pavia, sarà presentato il progetto '800: Musiche in Quadreria, risultato di una co-progettazione tra i Musei Civici e il Liceo Musicale dell'Istituto Magistrale Statale "Adelaide Cairoli", attraverso un'esibizione dal vivo degli allievi.

L'iniziativa, ideata e curata nell'ambito del tirocinio formativo svolto ai Musei Civici dalla dott.ssa Nicoletta Pulcini, laureanda al biennio magistrale in Comunicazione Creativa per i Beni Culturali dell'Accademia di Belle Arti di Brera, è stata studiata per valorizzare la Quadreria dell'Ottocento e per coinvolgere nuove fasce di pubblico.

'800: Musiche in Quadreria punta infatti ad ampliare la fruizione della collezione offrendo ai visitatori la possibilità di godere delle opere ascoltando i brani musicali, appositamente scelti e suonati dagli studenti del Liceo Musicale, che hanno contribuito a rendere la visita più emozionante e suggestiva. Il nuovo percorso unisce quindi le due arti, quella visiva e quella musicale, in un approccio sinestetico che favorisce la visione del museo come luogo in cui è piacevole tornare, in cui il visitatore è libero di cercare nuove associazioni tra opere e brani musicali.

Il processo di realizzazione del progetto è stato articolato in un arco temporale di circa sette mesi – da novembre 2023 a maggio 2024 – con la partecipazione delle classi 3^, 4^, 5^ del Liceo Musicale dell'Istituto Magistrale Statale "Adelaide Cairoli", per un totale di sessantacinque studenti e undici docenti, che con entusiasmo hanno accettato di valorizzare le sale museali sviluppando un nuovo racconto attraverso la musica.

Un impegno civico che ricorda, se pur in modalità e motivazioni differenti, quell'intento civico dei collezionisti e mecenati ottocenteschi che hanno voluto donare le loro collezioni alla municipalità ai fini del godimento pubblico. A partire da venerdì 10 maggio, il visitatore potrà dunque ascoltare i brani musicali dal proprio device accedendo alla pagina dedicata del sito dei Musei Civici. Con le stesse modalità, potrà accedere a brevi testi informativi, anch'essi redatti dagli studenti, concernenti gli autori, gli esecutori, la storia e il significato dei brani e le motivazioni per cui essi sono stati associati ad un dipinto o ad una sala.

Per partecipare all'evento, la prenotazione è obbligatoria all'indirizzo prenotazionimc@comune.pv.it

ELENCO BRANI:
Saverio Mercadante (Altamura, 1795-Napoli, 1870) compositore, conduttore e docente, è considerato uno dei promotori della riscoperta della musica strumentale italiana.
Benché in vita godette di grande notorietà, questa decadde rapidamente dopo la sua morte. Le sue composizioni per teatro musicale non divennero mai parte del repertorio stabile nella seconda metà dell’Ottocento e, nel Novecento, venne tutt’al più considerato quale precursore di Verdi. Secondo Mercadante, tuttavia, la concezione estetica del lavoro del compositore era più simile all’attività creativa di un artigiano anziché a quella di un genio ispirato dal sentimento: in questo senso preciso, Mercadante non dava maggiore rilievo alla propria produzione operistica rispetto a quella strumentale, poiché entrambe avevano la stessa valenza in termini di qualità compositiva.
Il Rondò Russo è tratto dall’op. 57, uno tra i lavori del compositore più noti ed eseguiti al giorno d’oggi. Il secondo Concerto per Flauto venne concepito nel 1813, lo stesso anno in cui Zingarelli, allora direttore del Conservatorio di Napoli, accettò il giovane Mercadante nella propria classe di Composizione.
Durante i successivi quattro anni, Mercadante si avvicinò in maniera sistematica allo studio della composizione, concentrandosi in particolare sulla musica strumentale. Non a caso, il suo primo lavoro pubblicato fu il sesto Concerto per Flauto (1817), un brano virtuosistico elaborato in vista dell’esame di diploma in Composizione.
Il secondo Concerto per Flauto op. 57 trae ispirazione dal settimo Concerto per Flauto di François Devienne, e mostra quindi una conoscenza da parte di Mercadante del repertorio francese. Il Rondò che si propone all’ascolto combina i principi costruttivi della ripetizione e del contrasto: un refrain, caratterizzato da spostamenti dell’accento ritmico sui tempi deboli della misura e dall’impiego di rapide figurazioni in ritmo puntato, si ripresenta alternato a couplets caratterizzati da una crescente complessità ritmica e virtuosistica. Questi prevedono, tra l’altro, l’impiego di rapidi gruppi irregolari e ampi intervalli espressivi.
La nitidezza formale del rondò nel suo complesso e la concezione “tradizionale” del virtuosismo posto alla base di questo movimento, unitamente alla simmetria costruttiva del pensiero musicale di Mercadante, permettono di costruire un parallelismo con la cifra stilistica che caratterizza i dipinti della sala Neoclassica della Quadreria.
Franz Doppler (L’viv, 1821-Baden, 1883) fu un flautista, compositore e direttore d’orchestra. Fece il suo debutto alla giovane età di 13 anni, la sua prima opera venne eseguita nel 1847 al Teatro Nazionale di Budapest e nei dieci anni successivi produsse quattro opere ungheresi, ottenendo un considerevole successo. Con il fratello Karl tenne diversi concerti attraverso l’Europa, compresa una visita alla corte di Weimar, in cui ebbe l’occasione di conoscere Franz Liszt, che avrebbe successivamente ispirato la trascrizione per orchestra di alcune sue Rapsodie Ungheresi. Nel corso della sua carriera compose principalmente opere per flauto, tuttavia nella sua produzione non mancano opere teatrali, balletti, pezzi orchestrali e da camera.
 
Le opere di Doppler combinano influenze italiane con elementi di musica russa, polacca e ungherese di cui riporta i temi più popolari.
La Fantasia Pastorale Ungherese che si propone all’ascolto è stata composta tra il 1857 e il 1867, periodo della sua carriera musicale in cui svolse diverse attività sia come esecutore che come compositore. Si tratta di un pezzo virtuosistico per flauto e pianoforte che cattura l’atmosfera pittoresca della campagna ungherese e che incorpora elementi della musica popolare che animava questi luoghi, donando al brano un carattere folcloristico e vivace. La composizione è strutturata come una serie di variazioni su temi tradizionali, che vengono esplorati e sviluppati attraverso le varie sezioni della fantasia. È divenuta una delle opere più amate del repertorio flautistico e continua a essere eseguita e apprezzata.
Wilhelm Popp (Coburg, 1829-Amburgo, 1902) fu un importante musicista tedesco, virtuoso sia del pianoforte che nel flauto traverso. Durante la sua vita, oltre a essere primo flautista dell’orchestra filarmonica di Amburgo e affermato solista, egli era anche ben noto per le sue composizioni. Nel corso del tempo la sua fama è andata molto affievolendosi; ciò nonostante, le sue composizioni per flauto traverso rimangono a tutt’oggi una parte fondamentale del repertorio flautistico.
Il brano proposto è intitolato Lockvögel, ossia uccelli da esca. L’intento programmatico posto alla base di questa musica svela un intento di tipo descrittivo da parte del compositore con la precisa volontà di condurre l’ascoltatore nell’interpretare l’opera.
Durante il Romanticismo erano numerosi i compositori che usavano la musica come strumento descrittivo e, come nelle altre arti, la natura era uno dei temi maggiormente trattati. Nella sala della Quadreria dedicata ai Paesaggi vediamo una rappresentazione della natura caratterizzata da un certo equilibrio tra accademia e realtà capace di restituire i rapporti cromatici tra cieli, acque, rilievi montuosi fino a ricreare ogni variazione atmosferica, giornaliera e stagionale.
Franz Paul Lachner (Rain am Lech, 1803-Monaco di Baviera 1890) fu un compositore e conduttore bavarese appartenente a una famiglia di musicisti. Considerato il più talentuoso esponente della sua famiglia, ricevette le prime lezioni di pianoforte e organo da suo padre Anton. Dopo la morte di quest’ultimo, nel 1822, Franz si trasferì prima a Monaco di Baviera, dove si guadagnò da vivere come organista, insegnante di musica e strumentista orchestrale e, nel 1823, in seguito alla vittoria di un concorso come organista in una chiesa luterana, a Vienna. Qui, dopo aver dato compimento alla propria educazione musicale, entrò in contatto con il circolo di musicisti che includevano Schubert e Moritz von Schwind e poté personalmente conoscere Beethoven.
«Noi due, Schubert e io, trascorrevamo la maggior parte del nostro tempo insieme abbozzando nuove composizioni. Eravamo i più vicini degli amici, trascorrendo le mattinate a suonare l’uno per l’altro e a discutere in profondità di qualsiasi argomento concepibile con il massimo candore».
Non stupisce che la musica di Schubert abbia influenzato più di ogni altra le composizioni di Lachner.
Negli anni successivi divenne prima direttore assistente presso il Teatro Kärntnertor e successivamente direttore stabile. Dopo aver tentato senza successo di trasferirsi a Berlino, fece ritorno a Monaco nel 1836, dove acquisì in breve tempo una posizione di preminenza nella vita musicale cittadina e qui trascorse il resto della sua vita come conduttore della Reale Orchestra Bavarese dal 1834 a 1868 e come professore di Composizione presso il Conservatorio.
Le opere di Lachner iniziarono a scomparire dal repertorio poiché il compositore divenne uno degli antagonisti di Richard Wagner e delle sue posizioni estetiche: va da sé che, dal 1870, almeno in Baviera, dopo essersi guadagnati l’appoggio di re Ludwig II, Wagner e i suoi seguaci furono in grado di controllare i repertori da presentare al pubblico.
L’Ottetto da cui è tratto lo Scherzo che si propone all’ascolto venne composto intorno al 1850. Lachner cerca coscientemente di collegare a livello stilistico la propria musica a quella dei suoi predecessori romantici, benché né il Settimino di Beethoven né tantomeno l’Ottetto di Schubert gli siano serviti quali modelli. L’Ottetto di Lachner era originariamente concepito quale sinfonia per strumenti a fiato e per grande orchestra sinfonica. Il vivace Scherzo, terzo movimento della composizione, è costruito su un tema principale vivo, giocoso e costellato da ironie cromatiche. La sezione del Trio, più lenta, fa del contrasto agogico il principale elemento costitutivo. Questi elementi permettono di associarlo al dipinto Festa da ballo in una locanda di Pasquale Massacra.

La Fille du Régiment è da sempre tra le opere più amate e popolari del compositore bergamasco Gaetano Donizetti (Bergamo, 1797-Bergamo, 1848). Rappresentata all’Opéra di Parigi l’11 Febbraio 1840, venne composta da Donizetti nel corso del 1839 su libretto di Saint-Georges e Bayard. Successivamente, il compositore ne preparò anche una versione in lingua italiana su adattamento del libretto di Callisto Bassi. La partitura francese venne modificata in più punti, andando in scena il 3 Ottobre 1840 presso il Teatro alla Scala di Milano con il titolo La Figlia del Reggimento.

Da quest’ultima versione è tratto l’ascolto proposto in associazione al dipinto Arianna abbandonata di Giovanni Carnovali. Più precisamente si richiama al paragone tra la Maria donizettiana abbandonata dalla propria famiglia privandola degli affetti famigliari, e l’Arianna del Piccio che vive l’abbandono da parte dell’amato Teseo che la lascia dormiente sull’isola di Nasso.

Ermanno Wolf-Ferrari (Venezia, 1876-1948) fu compositore italiano nato da padre tedesco, il pittore Augusto Wolf, e madre italiana, la veneziana Emilia Ferrari. Dimostrò precoci doti musicali, ma la sua formazione artistica fu complessa e incerta tra la pittura e la musica. Trovandosi a Monaco di Baviera nel 1892 per continuare lo studio della pittura, decise di dedicarsi completamente alla musica, iscrivendosi alla Münchner Akademie der Tonkunst. Tre anni dopo tornò a Venezia ma non mancò la parentesi milanese, che gli permise di conoscere l’ambiente musicale locale. Nella sua città natale diresse il Liceo Musicale Benedetto Marcello e si dedicò alla composizione.

Wolf-Ferrari fa parte di quella generazione degli artisti italiani noti come “La generazione dell’Ottanta”. Essi, partendo dallo studio dell’opera di Strauss e di Debussy, operarono un interessante ritorno all’antica tradizione musicale italiana, rivalutando il canto gregoriano e i musicisti come Monteverdi e Vivaldi. In particolare, la generazione dell’Ottanta inserì alcune suggestioni retrospettive in un linguaggio moderno che accettava e assimilava le influenze più innovatrici della musica europea, apportandovi un rinnovato gusto per la musica vocale a detrimento del sinfonismo di tipo tedesco, sentito, infatti, sostanzialmente estraneo alla tradizione italiana.
L’attività d’operista si svolse per oltre un trentennio, segnata dal felice incontro con il teatro di Goldoni, del quale Wolf Ferrari pose in musica molti testi noti. La sua prima opera rappresentata fu Cenerentola (1900), seguita da – ne citiamo solo alcune – Le donne curiose (1903) da Goldoni, di cui musicò anche I quattro rusteghi (1906), Il segreto di Susanna (1909), I gioielli della madonna (1911), L’amore medico (1913) da Molière, Gli amanti sposi (1925) e Il campiello (1936), entrambi da Goldoni. Oltre alla riflessione sul teatro musicale, Wolf Ferrari fu anche autore di musica strumentale, vocale e cameristica: il suo catalogo comprende alcune partiture per musica da camera, quintetti e sonate per violino.
Per questa sala dedicata ai Ritratti e Autoritratti inseriti in un allestimento che richiama fortemente la dimensioni del salotto ottocentesco si propone all’ascolto il terzo dei Quattro rispetti Op. 11, E tanto c’è pericol ch’io ti lasci. Esso rispecchia la tipologia della musica da camera di forma dilettantistica, spesso eseguita in concerti privati ai fini dell’intrattenimento, la cosiddetta Hausmusik.

Talento musicale precocissimo, Pietro Mascagni (Livorno, 1863-Roma, 1945) venne avviato agli studi musicali dal suo primo maestro, Alfredo Soffredini, nonostante il parere contrario del padre. Formatosi con Ponchielli e Saladino presso il Conservatorio di Milano, fu tra l’altro coinquilino di Puccini. Nel 1888 abbandona la prima versione del Guglielmo Ratcliff, cui stava lavorando dal 1882, al fine di partecipare al concorso indetto dalla casa Sonzogno. Cavalleria rusticana impressionò fortemente la giuria del concorso – di cui facevano parte, tra gli altri, Giovanni Sgambati e Amintore Galli – aggiudicandosi il primo premio tra più di settanta concorrenti, tra cui Bossi e Giordano. L’opera ebbe enorme successo sin dalla prima al Costanzi di Roma nel 1890, e diede l’avvio alla lunga carriera di Mascagni, durante la quale il compositore si dedicò a una grande varietà di temi.

Il capolavoro di Mascagni in unico atto, Cavalleria rusticana, venne fastosamente accolto presso tutte le principali città europee e americane pochi mesi dopo la prima romana del 1890. Per oltre un secolo, l’opera fu stabilmente inserita nel repertorio dei maggiori cantanti e direttori d’orchestra e oggi viene solitamente abbinata a Pagliacci di Leoncavallo, altro lavoro caratterizzato da una sintetica concisione. È stato spesso considerato come la Cavalleria di Giovanni Verga – la riduzione teatrale della novella su cui l’opera di Mascagni si fonda – abbia inaugurato il periodo verista nel teatro italiano. Mascagni sottolineò sempre la stretta aderenza al dramma quale propria fonte e rigettò l’idea di una stretta affinità tra la sua opera e la Carmen di Bizet, nonostante quest’ultimo lavoro costituisse in realtà un modello decisivo ed evidente per la ideazione drammatica di Cavalleria. Tutti gli elementi tragici della trama sono condensati in un’unica cornice musicale, concepita per massimizzare l’immediata fruizione dell’espressività drammaturgica. In quest’ottica precisa, Mascagni aderì agli intenti più tradizionali del teatro d’opera ottocentesco, riapprodando al numero chiuso già abbandonato dalla drammaturgia musicale verdiana. Ciò nonostante, il compositore livornese trattò il materiale compositivo con un’originalità tale da risultare evidente sin dal Preludio d’apertura: benché questo appaia assolutamente tradizionale nell’esporre le principali melodie che si ascolteranno durante l’opera, il modo in cui questi temi saranno successivamente richiamati farà sì che l’intera struttura del Preludio iniziale sia rievocata nella memoria dell’ascoltatore.
Cavalleria riesce a raggiungere un perfetto bilanciamento tra tutti i suoi elementi costitutivi: anche possibili difetti (quali, ad esempio, la convenzionalità dell’orchestrazione e l’accademismo armonico) trovano un riscontro nella caratterizzazione drammatica e nella complessiva concezione dell’opera, unitamente a una felice invenzione melodica e a un’originale rielaborazione di situazioni tipizzate che trova positiva ricezione da parte dei più tradizionali pubblici italiani e dalle nostalgiche platee straniere. Il capolavoro di Mascagni ha quindi accelerato la fine di un’epoca esaurendone le possibilità.
La potenza evocativa dell’Intermezzo si sposa con il dipinto di P. Massacra, La madre di Ricciardino Langosco in cerca del figlio ucciso di cui esalta il forte senso di presagio, in quanto nella morte di Ricciardino Langosco – immolatosi per la libertà della sua città al tempo dei Visconti – si può intravvedere la profezia del destino dell’artista autore del dipinto che tradito, fu ucciso per mano degli austriaci in circostanze analoghe il 15 marzo del 1849. Mentre nell’altra protagonista, la madre affranta che irrompe con forza drammatica, non si può non vedere presagito lo stesso immenso dolore provato da Adelaide Cairoli alla tragica morte dei figli che avevano donato la vita per la patria nelle guerre per l’Indipendenza.

Tra il 1821 e il 1823 è un Felix Mendelssohn appena dodicenne che compose dodici lavori sinfonici, per lo più destinati a un insieme di strumenti ad arco: con altre opere per organico cameristico, queste sinfonie testimoniano la precocità e il talento di un musicista felice di nome e di fatto.

In conseguenza delle guerre napoleoniche, più in particolare dopo il blocco continentale decretato nel 1810 da Napoleone per pregiudicare il commercio con l’Inghilterra, Abraham Mendelssohn, padre di Felix, aveva fatto ritorno a Berlino, dove nel 1811 fondò un istituto bancario. Sullo slancio delle guerre di liberazione dal giogo napoleonico (1813-1814), la città stava conoscendo un autentico rinascimento intellettuale, al centro del quale si affermava sempre più l’influsso dell’opera di Goethe. Tale rinascita nazionalistica auspicava la genuina fondazione di forme espressive genuinamente germaniche per la poesia, la musica e il teatro d’opera.
Parallelamente, si diffondeva la pratica delle manifestazioni culturali nei palazzi e nei salotti dell’emergente classe borghese. In tali circostanze, Abraham Mendelssohn ingaggiava vari strumentisti dell’orchestra di corte e, probabilmente in queste occasioni, avvenne che l’estroso e dotatissimo enfantprodige Felix fece le prime apparizioni in pubblico, alla tastiera e sul podio.
Nel 1821 ebbe inoltre luogo la visita del dodicenne Felix, in compagnia del padre, a Goethe presso Weimar, ove rimase ospite per una quindicina di giorni, esibendosi più volte alla tastiera al cospetto del sommo poeta che, del resto, non fece mai mistero dell’ammirazione e dell’affetto nei suoi confronti.
Il grande impegno intellettuale, il talento e la musicalità che caratterizzarono l’adolescenza di Felixt rovarono il proprio naturale sbocco, oltre che nelle esecuzioni dei classici, nelle prime sue composizioni di quegli anni, a cominciare dal Recitativo in re minore per pianoforte del marzo 1820, cui poi seguirono alcuni Lieder, l’avvio di una Sonata per violino in fa maggiore, una Cantata nuziale, l’incipit d’una commedia per musica e due brevi opere, Die Soldatenliebschaft e Die wandernden Komödianten.
Nei mesi immediatamente successivi, Mendelssohn compose le 12 Sinfonie giovanili che, dopo la morte del compositore, non vennero rubricate nei 36 volumi degli Opera omnia a cura dei familiari, rimanendo nell’oblio più totale sino al 1967. In quell’anno vennero alla luce i tre volumi di autografi, conservati nell’archivio della Wissenschaftliche Bibliothek di Berlino e ignorati, pertanto, anche dal regime nazista, che aveva decretato l’ostracismo nei confronti di Mendelssohn e della sua produzione. Le 12 Sinfonie giovanili furono pubblicate dall’editore VEB-Deutscher Verlag für Musik di Lipsia a cura di Helmuth Christian Wolff. Sfogliando queste partiture si ha una rapida idea della progressiva evoluzione dell’arte compositiva di Mendelssohn adolescente, verificando il senso dell’iniziale approccio a questo genere e il modo da lui perseguito nel superare i problemi tecnici relativi alla riflessione sulla forma e ai desiderati traguardi espressivi. Si può notare anzitutto che le Sinfonie dalla n. 1 alla n. 6 adottano una struttura tripartita e che in ciascun lavoro assume un ruolo di maggior spessore il movimento in cui è ravvisabile un determinato modello stilistico di riferimento.
L’Andante che si propone all’ascolto in associazione al dipinto Sant’Antonio offre ai poveri i suo averi di Pasquale Massacra è uno struggente Lied ohne Worte la cui espressività è costruita interamente dal timbro dei soli archi.

Vincenzo Bellini (Catania,1801-Puteaux,1835) è stato un compositore italiano, tra i più celebri operisti dell’Ottocento. Era figlio e nipote d’arte: suo padre era infatti un compositore minore, mentre il nonno paterno, Vincenzo Tobia Nicola Bellini, era un rinomato compositore di musica sacra.

Bellini svolse la sua carriera artistica nell’arco molto breve di nove anni (morì precocemente a soli trentaquattro anni), con una produzione complessiva di dieci opere.
Ottenuta una borsa di studio, nel 1819 andò a Napoli, dove divenne allievo di Furno e di Tritto, poi di Zingarelli, e dove conobbe Mercadante e Florimo. Alla conclusione degli studi, esordì nel teatrino del Conservatorio con l’opera semiseria Adelson e Salvini (1825). Tra il 1826 e il 1828 compose per il San Carlo di Napoli (Bianca e Gernando) e per Genova (una seconda versione di Bianca). Nel 1827 compose, su invito dell’impresario Barbaja, Il pirata per la Scala di Milano. Quest’opera diede grande notorietà all’autore presso le famiglie milanesi più in vista, che lo accolsero nei loro salotti. Dal 1827 al 1833 visse principalmente a Milano, dove scrisse La straniera (1829) e Norma (1831) per la Scala, La sonnambula (1831) per il Teatro Carcano. Compose inoltre Zaira (1829) per l’inaugurazione del teatro Ducale di Parma, e I Capuleti e i Montecchi (1830) e Beatrice di Tenda (1833) per la Fenice di Venezia.
Dall’aprile all’agosto del 1833 Bellini fu a Londra per allestire alcuni suoi lavori, per poi trasferirsi a Parigi dove rimase fino alla morte (settembre 1835) e dove ebbe agio di dedicarsi alla vita di società, entrando in stretta relazione di amicizia con Rossini, Chopin e altri musicisti. Per il Théâtre Italien scrisse la sua ultima opera, I puritani, rappresentata con strepitoso successo nel gennaio del 1835.
La sua musica, pura nella melodia e nel canto, esprime un legame tra il Classicismo e il Romanticismo. Classicista per la sua formazione napoletana, dove studiò autori come Haydn e Mozart, romantico per quanto esprime nelle sue opere, le passioni umane più intime e l’anima dei personaggi.
La lirica belliniana Dolente immagine, un’aria funebre intonata alla memoria dell’innamorata, palesa il lato più malinconico e languido dell’autore che ben si associa al dipinto di Costantino Borsa, La malinconia, dove la giovane dallo sguardo struggente e gli occhi velati di lacrime è allegoria di uno stato d’animo caratteristico dell’epoca romantica.

Francisco Tárrega Eixea (Vila-Real, 1852 – Barcellona, 1909) nato da genitori di modesta condizione sociale, è considerato uno dei più influenti compositori per chitarra classica del suo tempo. Da bambino subì un incidente che gli danneggiò la vista per il resto della vita. Il padre, preoccupato per le temibili conseguenze che avrebbero potuto portare il figlio alla cecità, decise di avviarlo allo studio della musica. A tal scopo lo affida a due maestri: Eugenio Ruiz per le lezioni di solfeggio e pianoforte, e Manuel Gonzales soprannominato “El cego de la Marina” per la chitarra. A ventidue anni entrò al Conservatorio Reale di Madrid dove studiò pianoforte e armonia. Ben presto però i colleghi e i professori, rendendosi conto delle straordinarie doti chitarristiche di un tale allievo “anomalo” non esitarono a consigliargli di lasciare lo studio del pianoforte per dedicarsi esclusivamente alla chitarra. Fu lo stesso direttore, Emilio Arrieta, che felicitandosi con lui dopo un memorabile concerto, gli disse: “La chitarra ha bisogno di te, e tu sei nato per essa”.

Da quel momento l’attività concertistica di Tárrega si fece sempre più intensa: il 1881 fu l’anno del suo debutto a Parigi e Londra. Seguirono numerose tournée, fino a tutto il 1905, che lo videro, oltre che in terra di Spagna, in Francia e in Italia.
Francisco Tárrega fu anche un grande innovatore del proprio strumento: non solo per qaunto riguarda la tecnica della chitarra, ma anche nell’averle apportato delle migliorie. Chiese al liutaio Torres di creare una chitarra capace di maggiori prestazioni dinamiche e timbriche, più sonora, equilibrata e ricca di colori. Una soluzione vincente perché fondata su motivazioni radicate nella stessa estetica musicale romantica che aveva preso il sopravvento.
Legato in modo imprescindibile alla tradizione spagnola, il suo appassionato interesse non fu volto soltanto al versante classico rappresentato da Haydn, Mozart e Beethoven, ma anche a quello romantico di Schubert, Paganini, Schumann, Mendelssohn e Chopin, nonché a quello dei suoi contemporanei Grieg, Albéniz, Verdi e Wagner di cui scrisse varie trascrizioni.
Una delle trascrizioni che diede al maestro grande notorietà fu la Fantasia sobre motivos de la Traviata (Fantasia sulla Traviata) la cui paternità fu oggetto di discussione nel corso del XX secolo. Di fatto, anche se spesso attribuita a Tárrega, basandosi su date di concerti e pubblicazioni, oggi sappiamo che è più corretto attribuirne la paternità a Julián Arcas, chitarrista e compositore spagnolo a cui lo stesso Tárrega si ispira per le sue trascrizioni e programmi concertistici. La Fantasia sobre motivos de la Traviata è un’opera ispirata all’omonimo melodramma verdiano, a sua volta basatao sul romanzo La signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio.
Questo brano viene proposto all’ascolto in associazione alla sezione dedicata alla bellezza femminile e più precisamente alle opere La monaca di Monza di G. Molteni e Accusa segreta di F. Hayez per la diretta fonte di ispirazione letteraria che le accumuna: la prima ispirata ai I Promessi Sposi di A. Manzoni, la seconda alle due romanze Le veneziane e La vendetta del poeta A. Maffei.

Uno dei più fecondi compositori russi del secondo Ottocento, e uno dei più noti internazionalmente, fu Pëtr Il’ič Čajkovskij (Votkinsk,1840-San Pietroburgo, 1893).

Antagonista al dilettantismo, Čajkovskij ebbe una concezione professionale dell’attività compositiva. Subito dopo il completamento degli studi al Conservatorio di San Pietroburgo ebbe l’incarico di professore di armonia presso il Conservatorio di Mosca, una delle roccaforti musicali delle tendenze filo-occidentali. Di qui il carattere cosmopolita che si attribuisce al suo stile musicale, anche se molti suoi lavori mostrano l’influsso del linguaggio popolare russo. Egli coltivò con pari versatilità ogni genere di musica vocale e strumentale, ma il genio di Čajkovskij ha lasciato il segno specialmente nei tre celebri balletti sinfonici che aprono la strada a tutti i grandi balletti del XX secolo: Lebedinoe ozero (Il lago dei cigni,1877), Spjaščaja Krasavitsa (La bella addormentata nel bosco, 1890) e Scelkunčik (Lo schiaccianoci, 1892). La sua vastissima produzione è segnata da una contraddizione: da una parte c’è l’esuberanza, talvolta l’intemperanza sentimentale che alimenta la musica che è spia diretta dell’emotività dell’autore; dall’altra la straordinaria fertilità dell’invenzione illuminata com’è dalla grazia di felicità creativa.
Il brano proposto all’ascolto è la malinconica None but the Lonely Heart, l’ultima delle sei romanze per voce e pianoforte, composta da Čajkovskij alla fine del 1869. Essa è un’ambientazione della poesia di Lev Mei The Harpist’s Song che a sua volta è una traduzione di Nur wer die Sehnsucht kennt dall’Apprendistato di Wilhelm Meister di Goethe. La canzone fu eseguita per la prima volta dal mezzosoprano russo Yelizaveta Lavrovskaya a Mosca nel 1870, seguita dalla prima a San Pietroburgo l’anno successivo durante un concerto dedicato a Čajkovskij condotto da Nikolai Rubinstein.
Il carattere malinconico del brano suggerisce l’associazione all’opera Il dolore che compone il trittico L’enigma umano del pittore, nonché ultimo Direttore della Civica Scuola di Pittura di Pavia, Giorgio Kienerk.

Mauro Giuliani (Bisceglie, 1781-Napoli, 1829), compositore e chitarrista di chiara fama, è considerato uno dei più importanti esponenti della chitarra classica del XIX secolo.

La sua Sonata Eroica (1814) rappresenta al contempo un capolavoro del repertorio chitarristico e un esempio emblematico dello stile musicale di Giuliani. L’opera si articola in tre movimenti: Allegro moderato, Adagio e Rondò. La concezione architettonica della Sonata si rifà alla sonata classica, con un primo movimento in forma-sonata, un secondo movimento dal carattere più lirico ed espressivo e un terzo movimento vivace e virtuosistico. Sul piano esecutivo, questo brano richiede una notevole abilità tecnica, con passaggi rapidi, arpeggi, salti di posizione e pizzicati. Giuliani sfrutta tutte le potenzialità dello strumento, creando una scrittura ricca di contrasti timbrici e dinamici.
Inoltre, l’opera si contraddistingue per un carattere eroico e appassionato, che permette di collocare la riflessione compositiva di Giuliani nelle correnti tematiche tipiche del periodo romantico. Il suo stile è chiaramente influenzato dalla musica di Beethoven, in particolare dalle sue sonate per pianoforte. L’impeto eroico e la scrittura contrappuntistica del primo movimento richiamano alcuni dei tratti stilistici del compositore tedesco.
Gli alti intenti posti alla base della riflessione creativa di Giuliani, la conciliazione dell’aspetto formale, di quello espressivo e di quello virtuosistico nella complessiva costruzione di questa Sonata suggeriscono di associarla all’intento compositivo del dipinto di Paolo Barbotti, Cicerone sopra la tomba di Archimede.

Johannes Brahms (Amburgo, 1833-Vienna, 1897) fu un compositore, pianista e direttore d’orchestra tedesco del periodo tardo-romantico. Venne considerato sia un tradizionalista che un innovatore. Infatti, la sua opera presenta una continuità con la tradizione classica ma si armonizza con il ricorso ad accenti romantici. La musica di Brahms, orientata al sinfonismo e segnata dal sistematico spirito di rivisitazione della struttura compositiva, si unisce alla spontaneità dei tratti della musica popolare viennese e ungherese, contribuendo a gettare quel seme che germoglierà poi con la riflessione etnomusicologica di Bèla Bart k e Zoltàn Kodaly. Le ventuno danze ungheresi per pianoforte a quattro mani, concepite tra il 1852 e il 1863, risalgono agli inizi della carriera musicale di Brahms. Ciascuna danza è caratterizzata dalla forma tripartita: viene presentato un primo tema a cui ne segue un secondo, contrastante con il primo in quanto a espressività e tempo. Conclude la ripresa del primo tema svolto in modo variato.

La quinta danza – insieme alla sesta la più celebre della raccolta – riprende un motivo tratto da musica zigana Bartfai Emlék di Béla Kéler, pseudonimo di Adalbert Nittinger.
L’ approccio un po’ oleografico di Brahms alla tradizione musicale folkloristica può essere accostato ai coevi esempi pittorici di intento etico civile. In particolare, i quadri de Il mendicante cieco di Francesco Ferrari e L’Elemosina di Giovanni Beri, artisti entrambi legati al realismo lombardo e formatisi sotto la direzione di Giacomo Trécourt alla Civica Scuola di Pavia, svelano, seppur viaggiando a velocità di sviluppo diverse, un’identica consapevolezza civile espressa mediante differenti forme artistiche.
 

LIBRETTO DI SALA

Approfondimenti

Info

09/05/2024

09/05/2024

18:00 - 20:00

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Eventi per: Per tutti0-99, Famiglie10-50, Bambini0-14, Adulti

Dove

 
Musei Civici
Viale XI Febbraio 35, Pavia

Organizzato da

Musei Civici di Pavia
Telefono: 0382.399770
E-mail: museicivici@comune.pv.it
 

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